20101130

il paradosso del giovane (Werther)

Oggi al lavoro ho un sacco di cose da fare. Anzi, correggiamo con un più appropriato condizionale. Avrei. Dopo le due ore e mezzo di riunione di stamattina, al termine delle quali il mio capo transformer giapponese se l’è filata (probabilmente per insegnare alla moglie a guidare la Smart nel traffico milanese), io credo di potermi concedere un’ora di grattamento di palle, ora nella quale farò finta di completare dei draft megaconfidenziali to be checked and confirmed by legal (prrrrrrrrrrrrrrrrrr).

Finora mi sono tenuta impegnata chiamando un’agenzia di pubblicità, che almeno mi fanno ridere, e interferendo con la corrispondenza di amorosi sensi che si è venuta a creare tra la mia amica che è stata in Benin e un tizio che è del Benin e l’ha accompagnata per tutto il viaggio, salvandola dalle insidie di un traffico pernicioso.
Che belle cose, gli amori in salsa giovane Werther.

Però più di tutto volevo fare una riflessione riguardo al signor Monicelli.
Premetto che non solo condivido, ma ammiro a pieni polmoni il gesto di quest’eroico 95enne, che ha voluto e saputo coniugare in punto di morte le sue doti di sublime regista con quelle di attore protagonista.
Quando ho letto la notizia ieri sera verso le 11 mi sono sentita spiazzata.
Ho cercato di immaginarmi con quale estrema disillusione un anziano signore oramai all’apice della extrema aetas possa aver congetturato la fine di se stesso: quanto ci avrà messo a pianificare l’operazione? Perché lì? Perché così? A cosa avrà mai pensato mentre si buttava giù dal quinto piano?
Leggo Massimo Fini e ritrovo tutto in questo suo pamphlet.
Io sinceramente non ho ancora capito se il dottor Fini mi piace o meno. Scrive cose che condivido, altre che invece trovo ai limiti dell’assurdo, ma non sono riuscita a elaborare un giudizio complessivo.
Limitandomi al caso di specie, posso dire che Una Storia di Vecchiaia fa parecchio al caso mio. Nel senso che, da trentenne quale sono, penso che mi piacerebbe approcciarmi all’età Adulta con quella forma mentis, con la consapevolezza di uno sguardo disincantato che si è goduto l’ottimismo della gioventù. La vecchiaia per Fini è decadimento fisico, distruzione, annichilimento. E’ l’introduzione al nulla della morte. Adoro quando mi definisce l’esperienza come “una definizione elegante per indicare la perdita di ogni curiosità”, o quando parla di una società che gode nel prolungare la durata della vita, e quindi quella della vecchiaia, perché proprio questa è un mercato appetibile.
Oggi “vecchio è bello”, ma solo nella misura in cui fa il giovane, e soprattutto consuma da giovane”.
Insomma, Massimo Fini in questa veste realista e sfiduciata mi piace, mi piace e mi aiuta a capire cosa possa essere passato nella testa di un vecchio di 95 anni che, a dispetto dell’attaccamento alla vita che matura proporzionalmente all’età, ha deciso di farla finita. Un lucido paradosso.

Finite queste riflessioni, aggiungo che i cazzoni che mi circondano, i leoni da scrivania con i quali mi confronto quotidianamente, lungi dal voler far emergere le loro menti dalle nebbie dell’ottusità in cui si crogiolano costantemente, mi stanno facendo morire di caldo oltre che di nervoso.

Dopo formale lamentela, sono riuscita a far abbassare la temperatura del riscaldamento centralizzatissimo, che ovviamente riporterà a una giusta media le attuali temperature tropicali per le 7 di domani mattina. Ciononostante, proverò a fare 15 minuti di straordinario, possibilmente mangiando un’arancia.

Io comunque mi sento il roseghin e aspetto le anticipazioni che mi verranno portate in serata da Giove.

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